Pirlo-Juve, un’avventura entusiasmante stroncata sul nascere
Doveva essere una bella fiaba, una di quelle col lieto fine, e invece molto probabilmente il percorso di Andrea Pirlo da tecnico della Juventus potrebbe concludersi a breve, nonostante il summit della dirigenza che l’ha confermato alla guida dei bianconeri. Ma fino a quando?
Una stagione iniziata alla grande, con tanta voglia di fare, con la fiducia e l’affetto dei tifosi che ricordavano le gesta del Maestro in mezzo al campo e con – appunto – l’entusiasmo di Pirlo stesso alla prima (importantissima e prestigiosa) panchina.
I presupposti c’erano tutti, i risultati più o meno: il calcio fluido cominciava a dare i suoi frutti e le prestazioni si alternavano in picchi clamorosi verso l’alto e verso il basso. La normalità tutto sommato, considerando uno staff nuovo di zecca ed un gruppo rinnovato in alcuni elementi cardine.
Poi, con lo scorrere dei giorni, di fluida c’è rimasta solo la Juventus. Liquefatta. Una squadra molle, senza grinta, senza più voglia di fare nonostante i costanti e inutili messaggi social rilasciati dai calciatori, senza fame e senza orgoglio seppur asfaltata dall’Inter di Conte e Marotta. Non un briciolo d’amor proprio, non una reazione d’impeto per regalare a quei tifosi lontani ma vicinissimi qualche soddisfazione.
Nove anni sono infiniti, nove anni di successi consecutivi non sono uno scherzo, né si dimenticano facilmente, ma quando sei alla Juve il successo di ieri è già passato. È lì in bacheca, splende, lo ammiri ricordando le emozioni che ti ha dato ma guardando al trofeo da conquistare domani. Invece questo gruppo è rimasto fermo a cullarsi, a specchiarsi serenamente pensando “tanto qualcuno ci toglierà le castagne dal fuoco”. Quel qualcuno quest’anno non è stato Paulo Dybala, bloccato tra infortuni e fasi di riabilitazione che hanno occupato più tempo del previsto. Quel qualcuno (nonostante i gol a raffica) non è potuto essere Cristiano Ronaldo, che è apparso tante volte irriconoscibile e incredibilmente sciupone ad un passo dalla porta. Quel qualcuno di certo non è Alvaro Morata, il quale, dopo uno start pazzesco, è rientrato nei ranghi della quotidianità, tra un virus inscrollabile e qualche acciacco di troppo.
E quando alla fase tattica ancora sperimentale si aggiungono errori individuali, ecco che il capolavoro prende forma divenendo un ibrido amorfo che oggi occupa la quinta posizione in classifica. Ma, ancor più preoccupante di ciò, c’è quello spirito di rivalsa che è scemato e non intende rientrare. A valle ci sono sicuramente le colpe del tecnico e del suo staff, così come a monte son ben salde quelle di chi ce l’ha messo su quella panchina. Tuttavia, al punto in cui oramai siamo, crocifiggere qualcuno è l’azione più stupida da compiere. Un gruppo senza più stimoli (o che non riesce ad esser stimolato a dovere) va messo di fronte alle sue responsabilità, va eliminato ogni alibi, ogni appiglio che possa fornire una scusante per questa ultima volata della speranza. Poi si faranno i conti, forse cadranno teste, probabilmente si ripartirà con nuovi nomi e nuovi obiettivi.
@44gattdernesto